Quando il popolo diventa protagonista: il risanamento di Borgo Croci (di Michele Perrone)
Custodire e consegnare la memoria è il lascito più importante che possiamo dare ai nostri figli ed ai giovani.
FoggiaInsieme ne fa un suo obiettivo prioritario, come si legge nel documento programmatico dell'associazione: "Ogni analisi sulla condizione della Città parte dal presupposto di un impegno forte del recupero di consapevolezza dei “tempi” della Città stessa: del PASSATO (scarsamente e superficialmente conosciuto), del PRESENTE (deprivato, delle sue potenzialità, da un inveterato difetto di passività), del FUTURO (con orizzonti opachi e ridotti). Dovrà essere la rilettura attiva del passato, del presente e del futuro della Città a tessere la trama di una tela di interventi guidata dalla “cura” per il bene comune: bene di una città vissuta e vivibile. perché viva e non destinata all’agonia del degrado, dell’inefficienza e del lassismo."
Non casualmente, il blog di FoggiaInsieme inaugura le sue pubblicazioni con un contributo rivolto a recuperare la memoria di una pagina di straordinaria importanza nella storia civile e sociale della città di Foggia: il risanamento e la riqualificazione di Borgo Croci, assieme alla complessa azione di partecipazione e di condivisione promossa dal Consiglio di Quartiere, presieduto da Michele Perrone, che nell'articolo qui sotto ricorda e racconta quella memorabile esperienza.
Buona lettura (g.i.)
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Nel 1974, quando vennero istituiti i Consigli di Quartiere, venni nominato Aggiunto del Sindaco per il Quartiere Croci.
Fu una bellissima esperienza.
La sede del Consiglio era in un pianterreno che aveva come porta una serranda, un posto squallido, freddo perché non munito di riscaldamento, uno stanzone che meglio sarebbe stato adibito ad officina.
I consiglieri erano tutta gente del quartiere, che a stento aveva la quinta elementare. La lingua delle riunioni era il foggiano stretto. Però quando iniziavano a parlare era molto difficile togliergli la parola.
Il quartiere lo avevo scelto io, perché sapevo che era pieno di problemi. Era ed è un quartiere periferico, molto povero, costituito per lo più da case popolari con famiglie indigenti.
Ricordo che tra i primi a partecipare agli incontri e alle assemblee fu un gruppo di cittadini della Parrocchia del Sacro Cuore di via Lucera, insieme ad uno dei salesiani che la reggevano, i quali lamentavano che le problematiche del quartiere venissero ignorate dalla Amministrazione comunale, sicché contestavano il Consiglio di Quartiere.
Quello fu l’inizio di una grande amicizia perché io feci subito capire che non ero la loro controparte ma che anzi ero lì per schierarmi per il quartiere, contro le istituzioni, se fosse stato necessario.
Il primo banco di prova si presentò molto presto: l’IACP aveva programmato di costruire un complesso di case popolari su viale Candelaro e si aspettava il plauso dei futuri occupanti. Ma quella gente, tramite il Consiglio di Quartiere, faceva presente di avere delle esigenze particolari che non erano state valutate perché i progetti erano stati realizzati senza consultarli. Insomma, non vi era stata partecipazione degli utenti i quali richiedevano che venissero tenute in debita considerazione le loro esigenze, che scaturivano dai loro stili di vita.
Esempi? Non accettavano, loro che vivevano nei bassi, di andare a vivere in palazzoni di otto o nove piani. La maggior parte delle famiglie era composta da terrazzani, cioè da quei soggetti che traevano il loro sostentamento dalla raccolta di prodotti spontanei nei campi (a seconda della stagione verdura, asparagi, lampascioni, fichi d’india); mi spiegò una volta uno di loro che non li si poteva definire contadini perché contadino è chi è proprietario di un pezzetto di terra, mentre loro non avevano nulla ma traevano i prodotti dai campi incolti.
La loro abitudine era di pulire quei prodotti prima della vendita dinanzi la porta di casa. Ma ai piani alti ciò non si poteva fare : di qui l’esigenza di balconi ampi da destinare anche a questa attività.
Ancora, il progetto prevedeva il cucinino : ma per le nostre famiglie la cucina e non il salotto è il centro della casa, sicché chiedevano che quell’ambiente fosse ampio e vivibile, perché era lì che la famiglia trascorreva la maggior parte del tempo.
Esigenze reali che scaturivano dal vissuto di quella gente.
Riuscimmo a far cambiare il progetto, e le case furono – e sono perché ancora adesso esistono – di sei piani, con cucina e balcone ampi. Fu una grande battaglia e non fu affatto semplice vincerla.
Mi ricordo di assemblee infuocate cui partecipavano anche seicento persone, soprattutto donne. Non era affatto semplice dirigerle, perché non si poteva dare la parola a tutti ma bisognava essere attenti a non trascurare nessuno. Di fronte avevo l’IACP –Presidente Paolucci, progettista l’ing. Vinicio Di Gioia- i quali non gradivano ostacoli e mi sollecitavano a non creargliene. Una sera a cena dopo un’altra assemblea infuocata, il Presidente Paolucci mi fece presente che io facevo l’avvocato e che l’IACP aveva una miriade di cause che avrebbe potuto affidarmi, al che io gli risposi che evidentemente non aveva capito nulla di me.
L’esperienza del Consiglio di Quartiere fu molto bella e rappresentò anche, come ricordavo prima, l’inizio del mio rapporto con gli amici del Sacro Cuore che poi andarono a fondare la comunità di Emmaus.
Fu comunque importante perché rappresentò il più significativo momento di partecipazione popolare. Di certo fu una esperienza molto importante per me, anche se faticosissima.
Michele Perrone
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