In morte dell’avvocato Vittorio Gentile (di Michele Perrone)



Quando penso ad un avvocato –avvocato nel vero senso della parola, come lo intendo io - penso a Vittorio Gentile che ci ha lasciati ieri. Perché Vittorio era un avvocato. Diversamente da molti che fanno gli avvocati, vi sono alcuni – non sono molti – che sono avvocati, e la differenza è enorme. 

Fare l’avvocato è esercitare un mestiere più o meno bene. Essere avvocato  significa avere coscienza di un ruolo, di una funzione importante nella società, il che significa un impegno costante, un modo di essere che si esplicita non solo nelle aule di giustizia o nello studio legale, ma che diviene una seconda pelle. 

Vittorio Gentile è stato questo: un uomo assai colto, preparatissimo nel suo campo, che era il diritto civile, con particolare competenza nel diritto societario, ma anche e soprattutto professionista serio, affidabile, leale con giudici e colleghi, mai disponibile a perseguire vie men che trasparenti pur di ottenere un successo in un giudizio. In cinquant’anni che lo conosco e che l’ho frequentato –mi onorava della sua amicizia- non l’ho mai visto perdere la calma in ambienti professionali, non l’ho mai sentito  alzare la voce, perdere il controllo. 

Unica occasione in cui lui, civilista puro, si è dedicato alla materia penale è stato quando ha celebrato il processo Panunzio nel quale volle che io, che già rappresentavo come parte civile contro la Società foggiana il Comune di Foggia, mi unissi  a Lui per tutelare, sempre come parte civile la famiglia Panunzio. Lui era il legale della famiglia Panunzio per le questioni civili, ed è anche su suo consiglio che i Panunzio scelsero  di collaborare fin da primo momento con le Forze dell’Ordine, denunciando il tentativo di estorsione che stavano subendo. Facemmo il processo con molto impegno ed anche in questo campo che non era il suo, l’Avv. Vittorio Gentile dimostrò la sua competenza e la sua professionalità. 

Questo è ciò che significa essere avvocati per me: essere sempre presenti a se stessi, mettendo a disposizione dei propri clienti non solo le proprie competenze ma un modo di essere, una toga immacolata, non deturpata da alcuna ombra. 

Quando gli fu chiesto di entrare in politica assumendo la candidatura a sindaco di Foggia per il centro sinistra non ci pensò due volte, perché quello era pur sempre  un modo di porsi al servizio della Città. Naturalmente, anche in politica  si impegnò senza snaturare se stesso ed il suo modo di essere: la campagna elettorale fu sobria, senza trascendere in attacchi personali all’avversario, senza promesse mirabolanti, esprimendo concetti e proponendo soluzioni per la città. E quando il risultato non fu quello sperato, fece opposizione in Consiglio Comunale allo stesso modo, con fermezza ma sempre con rispetto per gli avversari, senza mai snaturare se stesso, esattamente come nell’attività professionale. 

Era legatissimo alla sua famiglia, alla moglie Franca dalla cui dipartita non si era più ripreso, ai figli, al nipote che porta il suo nome. Il Foro di Foggia perde con la sua dipartita una delle sue poche eccellenze, un professionista affidabile, un maestro  in diritto ed in comportamento, una guida ed un esempio; la città di Foggia perde un Uomo di cui andare orgogliosi.

Michele Perrone

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